Mentre l’Europa discute regole sempre più rigide per l’uso dell’intelligenza artificiale generativa, negli Stati Uniti si alza un vento di deregolamentazione. Il protagonista? L’ex presidente Donald Trump. Durante un comizio in Michigan, Trump ha dichiarato che, se rieletto, firmerà una legge per impedire agli autori di bloccare l’addestramento delle AI sui contenuti protetti da copyright.Una frase passata quasi inosservata nei media generalisti, ma che nel mondo tech e tra i creatori di contenuti ha fatto l’effetto di una granata. Trump ha detto chiaro e tondo: “Non permetteremo agli scrittori, agli artisti o alle case editrici di fermare il progresso dell’intelligenza artificiale. L’AI deve essere libera di imparare da tutto”.
Il messaggio è chiaro: in un’ipotetica amministrazione Trump 2025, le Big Tech verrebbero protette dalla minaccia di cause legali legate al copyright. Addestrare modelli su libri, canzoni, film, sceneggiature e articoli senza chiedere permesso o pagare licenze diventerebbe legale e incentivato.Una posizione che entusiasma le grandi aziende tech – da OpenAI a Meta, da Google a Stability AI – ma che spaventa migliaia di autori, artisti e professionisti dell’industria culturale. In gioco c’è il diritto a essere compensati per l’uso dell’opera creativa, ma anche il rischio di vedere sparire intere categorie professionali, sostituite da modelli addestrati su contenuti rubati.
La risposta non si è fatta attendere. Il sindacato degli sceneggiatori americani (WGA) ha definito la proposta “una dichiarazione di guerra all’industria creativa”. Gli editori hanno evocato un futuro distopico in cui nessun contenuto originale potrà più essere protetto, e le piattaforme AI potranno cannibalizzare tutto il sapere umano senza restrizioni.Anche alcuni senatori democratici hanno criticato la posizione di Trump, definendola un regalo alle Big Tech e una condanna per la proprietà intellettuale. Nel frattempo, associazioni come Authors Guild, Recording Academy e Cartoonists Society si stanno mobilitando per bloccare ogni tentativo di legalizzare l’uso indiscriminato dei dati.
Il cuore del dibattito è sottile quanto potente: addestrare un’AI su un libro equivale a copiarlo? Oppure è solo un processo di apprendimento astratto, simile a quello umano?Le corti americane sono divise. Alcune hanno sostenuto che il fair use permette certe forme di utilizzo a fini di ricerca. Altre hanno invece dato ragione agli autori, riconoscendo il diritto a decidere come, dove e se le proprie opere vengano sfruttate. Ma la proposta di Trump azzera tutto: nessun limite, nessun consenso, nessun compenso.
Al di là dell’aspetto tecnico, la questione si intreccia con la visione culturale dell’America. Da una parte, chi vede l’AI come opportunità per rendere il sapere più accessibile, liberare la creatività, velocizzare i processi. Dall’altra, chi teme l’espropriazione sistemica del lavoro creativo, la perdita di controllo sull’identità digitale e l’erosione del valore artistico.Nel mezzo, milioni di utenti che usano AI ogni giorno per scrivere, creare, imparare. E che potrebbero trovarsi nel bel mezzo di una guerra legale tra i colossi della tecnologia e i custodi del copyright.Per ora, la proposta non è legge. Ma l’annuncio di Trump ha acceso una miccia che non si spegnerà facilmente. Se le AI potranno davvero usare tutto ciò che è stato scritto, dipinto, filmato o cantato… cosa resterà del concetto stesso di autore?
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