Negli ultimi anni, il percorso di OpenAI è stato tutto fuorché lineare. Nata come una nonprofit pura, con l’ambizione idealistica di rendere l’intelligenza artificiale un bene per l’intera umanità, si è progressivamente trasformata in una realtà ibrida, dove la componente "for profit" ha assunto sempre più peso. Fino a pochi mesi fa, sembrava chiaro che il futuro di OpenAI sarebbe stato sempre più simile a quello di una grande tech company qualunque. E invece no.In un colpo di scena inaspettato, Sam Altman ha annunciato un ritorno al passato: OpenAI verrà nuovamente controllata da una nonprofit. Non si tratta però di una cancellazione della componente commerciale, bensì di una trasformazione della struttura societaria attuale in una PBC, Public Benefit Corporation. Un modello che, almeno sulla carta, cerca di conciliare profitto e impatto sociale. Ma cosa significa tutto questo, concretamente? Quali sono i motivi, le implicazioni e i possibili limiti di questa mossa?
Una Public Benefit Corporation è una forma societaria nata per garantire che un'impresa possa generare profitto pur mantenendo come obiettivo centrale uno scopo sociale dichiarato. Non è una nonprofit, quindi può avere investitori e generare ricavi, ma ha l’obbligo di perseguire un fine pubblico, dichiarato negli statuti.Nel caso di OpenAI, la missione dichiarata resta quella di garantire che lo sviluppo dell'AGI (intelligenza artificiale generale) porti benefici a tutta l'umanità. La nonprofit originaria continuerà a controllare la nuova PBC e a detenerne una quota importante, garantendosi così una leva decisionale e risorse da reinvestire in ricerca e iniziative di impatto sociale.L'esempio più citato in queste ore è quello di Patagonia, che ha adottato una struttura simile per coniugare responsabilità ambientale e attività commerciale. Ma mentre Patagonia vende giacche e scarponi, OpenAI lavora su una delle tecnologie più potenti e delicate del nostro tempo. Il paragone, insomma, regge fino a un certo punto.
Negli ultimi mesi, le pressioni sull'organizzazione si sono fatte sentire: da parte della comunità tech, da molti ex dipendenti, da figure di spicco come Elon Musk (tra i fondatori stessi di OpenAI), e persino da attori istituzionali. In molti hanno criticato la crescente opacità delle decisioni e la deriva commerciale, lontana dallo spirito iniziale.Secondo quanto comunicato ufficialmente, il ritorno al controllo nonprofit è frutto di un "dialogo costruttivo" con esperti, autorità e stakeholder. L’intento è quello di riequilibrare la governance per evitare una totale deriva capitalistica del progetto.Altman ha voluto rassicurare tutti: la missione non cambia, e anzi, con più risorse e una struttura più trasparente, OpenAI sarà in grado di accelerare lo sviluppo di un'AI realmente al servizio della collettività. Ma le parole bastano?
È qui che sorgono le prime perplessità. La nonprofit controllerà la PBC e ne sarà un azionista importante. Ma quanto potere decisionale avrà davvero? Al momento, non ci sono dettagli chiari sul rapporto tra le due entità, né sulle dinamiche di voto, di veto o di influenza.Molti osservatori temono che la nonprofit possa avere un ruolo più simbolico che effettivo. In altre parole: se la PBC continuerà a vendere prodotti, ricevere investimenti e generare profitti come prima, chi garantirà che le scelte restino davvero fedeli alla missione dichiarata?Altro nodo critico: i finanziatori. Microsoft, tra i maggiori partner commerciali di OpenAI, ha già investito miliardi nel progetto. Ma non si hanno dichiarazioni ufficiali da parte loro su questa ristrutturazione. Un silenzio che lascia aperti molti interrogativi.
Un altro punto centrale riguarda la trasparenza. La nuova struttura è sicuramente più rassicurante rispetto a un modello puramente for profit, ma presenta ancora molta complessità e poca chiarezza. Chi decide cosa, chi controlla chi, come vengono gestiti i fondi, quali limiti vengono imposti ai modelli AI: tutto questo è ancora vago.Nel passato, OpenAI ha già modificato più volte la propria governance e missione. Il rischio è che anche questo ritorno alla nonprofit sia più una mossa di facciata, una risposta a critiche esterne, piuttosto che un cambiamento strutturale reale.
Chi usa ChatGPT, chi sperimenta i modelli di OpenAI nei propri progetti, si chiede: ma cosa cambia, davvero? Al momento, nulla di visibile. I modelli restano a pagamento, le API continuano a funzionare come sempre, e la direzione tecnica dei prodotti non sembra essersi modificata.Tuttavia, nel medio-lungo periodo, questa nuova governance potrebbe influenzare alcune scelte strategiche: maggiore apertura del codice, più attenzione alla sicurezza e all'allineamento etico, meno compromessi nel rapporto con governi e aziende militari.Altman ha anche ribadito l'impegno a rilasciare modelli open source, pur sottolineando che non tutti i modelli lo saranno. L'approccio sarà quindi ibrido, più simile a quello adottato da Google con Gemini e Gamma: trasparenza selettiva, in base al rischio percepito.
Un aspetto non secondario è la volontà di contrastare lo sviluppo di modelli AI "autoritari". Altman ha citato esplicitamente la necessità di costruire una AI democratica, libera, accessibile, sicura e trasparente. Una frecciatina chiara al mondo orientale (Cina in primis), dove la tecnologia viene sempre più impiegata per il controllo sociale.OpenAI vuole rappresentare l'alternativa occidentale, aperta e responsabile. Ma per farlo, dovrà davvero dimostrare di saper resistere alle pressioni del mercato e di mettere le persone prima del profitto.
Il ritorno sotto il controllo della nonprofit è un segnale positivo. Mostra che le pressioni pubbliche possono ancora avere effetto, e che esiste (forse) una volontà di correzione della rotta. Ma non basta.Serve più trasparenza, serve chiarezza sui ruoli decisionali, serve una reale rendicontazione delle scelte. Solo allora si potrà parlare di un cambiamento profondo, e non solo di una strategia di PR.L’AI sta cambiando il mondo: chi la guida, ne guida il futuro. E il futuro, si sa, non può essere deciso solo dai profitti.
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